Goffredo Fofi
Goffredo Fofi è la figura che, forse più di altre, incarna un possibile modello della professione del critico. Impegnato in prima persona in battaglie sociali (ha accompagnato Danilo Dolci in Sicilia all’inizio degli anni 50), si è occupato inizialmente di immigrazione dedicandosi in seguito alla critica militante, costruendo quel terreno critico che permette all’arte di diffondersi e venire conosciuta, inventando e dirigendo premi e riviste (da La terra vista dalla luna a Lo straniero, fino agli ultimi Gli asini, anche casa editrice). C’è una lezione di metodo che con più nitore emerge scorrendo i suoi titoli per Cue Press: la persuasione di chi si fa interprete del presente usando come specchio la produzione artistica, al contempo incalzando le opere e gli artisti alla luce di una frequentazione instancabile dei fatti dell’attualità, delle persone, dei gruppi. Fofi ha sempre operato da una posizione quasi ai margini, come lui stesso ha affermato, e dunque vicino ai deboli, alle minoranze emarginate e agli ‘ultimi’, sferzando però anche chi occupa i diversi centri di potere.
Cinema e teatro del Fronte Popolare (2020), sul teatro e il cinema francese degli anni 30, è quasi un romanzo di formazione, è il racconto di un approccio che interroga la politica attraverso l’arte e viceversa, facendoci riscoprire figure come l’uomo di teatro Léon Moussinac, ma interrogando anche le produzioni di maestri come Jean Renoir e Jean Vigo. A proposito di quest’ultimo Cue Press, con la cura e introduzione di Fofi, ha tradotto e portato in Italia sempre nel 2020 l’inedito Jean Vigo. Vita e opere di un regista anarchico di Paulo Emìlio Sales Gómes (prima ed. Editions du Seuil, 1957). Si legge nell’introduzione: «del film di Jean Vigo Zero in condotta Elsa Morante, quando glielo citavo dopo aver letto Il mondo salvato dai ragazzini, aveva un ricordo vago, anche se la scena della guerra a colpi di cuscini tra i bambini nella camerata di un collegio, quella sì, ricordava di averla vista e amata».
Sempre dal tenore critico, storiografico e biografico è la monografia dedicata a Vittorio De Seta (Vittorio De Seta. Il mondo perduto, scritta con Gianni Volpi, prima ed. Lindau, 1999, riedita da Cue Press nel 2020), con una lunga conversazione e diversi materiali sulle sue produzioni cinematografiche, compresa una fondamentale introduzione di Franco Maresco dove si parla di uno «snobismo verso la realtà» del cineasta, uno sguardo capace di calarsi nel reale per trasfigurarlo.
Più stelle che in cielo. Il libro degli attori e delle attrici (2020, prima ed. 1995 E/O), è uno di quei volumi che dovrebbero stare nella biblioteca di tutti. Un catalogo dei divi del cinema (con schede critico-biografiche di 43 artisti, da Gary Cooper a Ingrid Bergman, da Anna Magnani a Massimo Troisi) che finisce per divenire anche un’indagine socio-antropologica sul nostro bisogno di riconoscerci, di distanziarci, di rispecchiarci nell’arte: «attraverso il fenomeno del ‘protagonismo di massa’ dei tardi anni Sessanta e, col ‘riflusso’, del narcisismo di massa, abbiamo chiesto presenza, espresso soggettività, e oggi affermiamo prepotentemente la nostra aggressività e le nostre difficoltà. Se era vero che nel volto del divo investivamo la nostra frustrata libido, oggi preferiamo chi ci somiglia, e non siamo disposti a fissarci, nel nostro procedere incerto, su nessuna faccia stabile e sicura».
Conclude il percorso nel cinema e teatro secondo Fofi una pubblicazione dal valore storiografico fondamentale e che raccoglie gli sketch, i frammenti di testi, i dialoghi usati da Totò nel suo periodo ‘teatrale’, nei decenni di apprendistato e consolidamento del mestiere prima della sua fama cinematografica e televisiva (Il teatro di Totò. 1932-1946). Quella che lo storico Claudio Meldolesi considerava un’invenzione sprecata (la vocazione teatrale di Totò, poi confluita nel cinema), grazie a questa pubblicazione trova nuova difusione e trasmissione anche per le giovani generazioni di teatranti e comici.