La danza è politica

Perypezye Urbane, «S28MAG».

Eugenia Casini Ropa è una delle più autorevoli studiose di storia della danza in Italia. La versione digitale del suo libro La danza e l’agitprop è la lettura di questo numero di «S28mag». E l’occasione per tre domande sul rapporto tra danza e politica. E non solo.

La danza e l’agitprop è uscito per la prima volta nel 1988. Perché ha scelto di pubblicare questa versione in ebook con la casa editrice solo digitale Cue Press?

Mattia Visani, creatore di Cue Press, me lo ha proposto e io ho accettato con entusiasmo. Si tratta di un testo che quando è uscito ha avuto un grande significato. Benché io sia persona di altra generazione capisco benissimo che in questo momento l’avvenire sta in questo: nel potere proporre la sapienza accumulata in tanto tempo in queste nuove forme di comunicazione e distribuzione che sono estremamente più agili, più rapide. Il libro cartaceo di specialisti ha sempre avuto quel tanto di pesantezza, uso di linguaggio ricercato, forbito che con il libro attuale, che forse viene fruito più distrattamente, camminando, in giro, può presentare qualche difficoltà. Ma non ne sono sicura, perché non sono una fruitrice.

Nella premessa racconta come ai primi del Novecento il teatro sia entrato nel campo della ricerca etica oltre che estetica. Quale pensa che sia in questo momento storico il ruolo etico della danza?

Si è discusso molto recentemente tra artisti e studiosi di un possibile valore politico della danza e si sono trovate molte modalità in cui la danza può fare politica o essere politica, col suo esistere in un ambito culturale che non la considera come azione di disturbo. Io ho una idea molto precisa di quale si stia rivelando un ruolo culturale politico molto forte della danza. È il filone che viene chiamato community dance, danza di comunità, danza sociale, danza educativa, formule che non rendono fino in fondo l’idea di come la danza entri più a contatto con la società, con tutti gli strati sociali, dai bambini agli anziani, dai portatori di differenze agli emarginati, alle persone di varia nazionalità. La danza diventa una possibilità di rivalutazione etica della persona, del corpo, delle sue proprietà relazionali.

Recentemente alcune organizzazioni, tra cui Agis e Federdanza, hanno promosso la petizione La danza non è uno sport.

La ritengo una buona iniziativa e l’ho firmata volentieri. Oggi in Italia vige una normativa che obbliga le scuole di danza a iscriversi al Coni e a essere associazioni sportive. È snaturante. La danza è arte. Non significa che le scuole di danza facciano sempre arte di prima categoria, ma l’intenzione è quella di svegliare e sviluppare negli allievi – a qualunque livello – un’idea estetica, artistica, espressiva. Elementi che non fanno parte del discorso sportivo. Le scuole di danza devono però avere lo stesso riconoscimento fiscale delle associazioni sportive: se queste vengono considerate importanti perché esercitano una funzione formativa ed etica, allora bisogna ammettere che le scuole di danza offrono lo stesso tipo di formazione. Coinvolgono la parte creativa della persona, la parte espressiva, il modo che la persona ha di esprimere pienamente sé stessa nel mondo che la circonda.