Fuochi, scoppi, crolli in dodici quadri. Addio al sogno europeo

Anna Bandettini, «La Repubblica».

Facciamo tutti il tifo per gli autori nuovi, ma certo devono essere molto volenterosi per farsi strada nei teatri italiani. È il caso di Davide Carnevali, trentaquattrenne scrittore, professore milanese, pieno di premi per i suoi testi teatrali: Variazioni sul modello di Kraepel, Calciobailla, Come fu che in Italia scoppiò la rivoluzione ma nessuno se ne accorse, ma conosciuto tra Berlino e Barcellona, dove vive. Da noi, debutta ‘solo’ ora in grande, al teatro di Roma che lo ha prodotto (al Teatro India), Sweet Home Europa, pubblicato da Cue Press con la prefazione di Attilio Scarpellini (seguirà una seconda parte Prelude to an end of a world), un testo che diventa uno specchio di sentimenti e preoccupazioni collettive reali in tema di immigrazione e integrazione, confini e stati nazionali, tradizioni e sradicamento.

Carnevali mette in campo tre figure, un Uomo, l’Altro e la Donna, chiamati così nel testo, che in dodici quadri, evoca la caduta del sogno della ‘grande casa Europa’ e il disagio della migrazione e dell’accoglienza. Lungo e troppo volutamente ridondante, il testo di Carnevali è però interessante: mescola registri narrativi diversi – cronaca, fiaba, ironia, non sense tanto da risultare sfrontato, reale e surreale – e ha la forza di sviluppare indignazione per alcuni modelli dello scontro culturale che attraversa l’Europa. Lo spettacolo, diretto da Fabrizio Arcuri, lo arricchisce di una pluralità di linguaggi: le belle musiche dal vivo dei Marlene Kuntz e la straordinaria NicoNote, grande performer vocale, la scena con tre porte aperte, dove al di là c’è un luogo oscuro, al di qua ci siamo noi e le tre figure che arrivano ognuna su una pedana mossa su rotaie, con l’effetto un po’ agghiacciante di ricordare i binari morti dei treni dei lager. In questo spazio, tra un mappamondo di plastica, soffitti che crollano, scoppi e fuochi che ogni tanto si accendono, le tre figure continueranno a essere separate dall’età, dal sesso, dalla cultura, dai propri mondi: il bravissimo Michele Di Mauro, il patetico e arrembante signore ‘occidentale’, Matteo Angius, l’Altro, sperso e con un birignao, si spera voluto, di smorfie, Francesca Mazza perfetta, mamma, cameriera, moglie cui si devono parole dure. Il loro malessere, il tono di sberleffo che pervade la scena, ne fanno uno spettacolo importante più che bello, che ha qualcosa da dire contro i luoghi comuni del tempo.