Il corso monografico in Statale diventa un libro per i 100 anni dalla nascita: “Il suo non fu il teatro del principe ma un teatro umano”
Sara Chiappori, «La Repubblica».
Il teatro? Uomini che si mettono insieme per salvarsi l’uno con l’altro. Parola di Giorgio Strehler, che torna protagonista nel centenario della nascita ben oltre il dovere della ricorrenza. Nelle aule universitarie, per esempio, che saranno anche virtuali a causa della pandemia, ma si scaldano comunque al cospetto del gigante della regia del Novecento. Certo, bisogna saperlo raccontare, Giorgio Strehler, a questi post millennials che non hanno mai visto un suo spettacolo dal vivo. L’ha fatto Alberto Bentoglio, docente di storia del teatro in Statale, con un corso monografico, diventato anche un libro, 20 lezioni su Giorgio Strehler (Cue Press). Quattrocento pagine ad alta densità, volume corposo, strumento di studio, lettura godibilissima e bussola preziosa per orientarsi lungo le rotte di una smisurata avventura artistica.
Bentoglio, Strehler fa breccia anche nelle nuove generazioni?
«Direi proprio di si. Questo libro raccoglie e amplia le lezioni che ho tenuto l’anno scorso, durante il primo lockdown che ci ha costretto a ripensare la didattica nella forma a distanza. Punitiva per certi versi, ma tutta da esplorare per altri. Con possibilità interessanti, per l’esempio l’integrazione sistematica di immagini e di video. Ha funzionato, gli studenti hanno risposto bene. Dirò di più. Ho avuto la netta impressione che Strehler abbia aiutato sia me sia loro a superare lo sconforto di questi mesi dandoci lo slancio per non soccombere alla desolazione».
Che cosa ha colpito di più i suoi studenti?
«Credo la sua figura di personaggio scomodo, controcorrente. Lo spirito critico, l’irrequietezza che gli impediva di non accontentarsi spingendolo a cercare sempre qualcosa di più e di più difficile. Anche a costo di sbagliare. Si sono molto appassionati al Faust, cosa che non mi aspettavo. E invece in quell’avventura faticosissima e impossibile hanno trovato la lezione di un grande coraggio».
Personalità carismatica e tempestosa.
«Una vera star. Per decermi protagonista della vita teatrale, culturale e politica, fotografatissimo, inseguito dalla stampa, anche quella rosa, in quanto uomo molto amato che amò molte donne. Fu al centro di polemiche, alcune davvero spiacevoli, ma non c’era giornale, dal più reazionario al più progressista, dal più colto al più frivolo, che non si occupasse di lui».
Contrariamente a Ronconi, Strehler era un grafomane. Ha lasciato centinaia di pagine di note di regia.
«Una mole straordinaria di documenti, conservati nell’archivio storico del Piccolo, una risorsa preziosa. Strehler costruiva le sue visioni attraverso la scrittura. Scriveva molto bene, era affascinante, ancorato a una cultura vasta quanto solida. I suoi appunti e le sue note in parecchi casi sono dei veri e propri saggi, anche per quanto riguarda il teatro musicale. Le sue regie hanno spesso anticipato riletture critiche e teoriche di autori e opere. E andrebbero ripresi anche i suoi interventi politici. Quelli sull’Europa, soprattutto».
Cento anni dalla nascita. Come sfruttare questo anniversario?
«Come un’occasione di approfondimento critico, bibliografico e scientifico. Credo che il punto sia interrogarsi non tanto su che cosa ha fatto Strehler ma su che cosa è rimasto del suo magistero. È ancora valido o è un’esperienza magnifica ma conclusa?».
Lei come risponde?
«Il discorso è complesso, ma direi che la sua idea di rapporto con l’attore, quel modello didattico di educazione teatrale, oggi non sarebbe proponibile. Come è vero che, con il Novecento, possiamo considerare morto il teatro di regia dei grandi maestri».
Dunque che cosa resta di Strehler?
«Il Piccolo e quell’idea di teatro come bene pubblico su cui l’ha fondato con Paolo Grassi. Per quell’idea ha combattuto da eroe del Novecento, senza mai ammainare la bandiera, da uomo uscito dalla Resistenza. Con risultati alterni, ma con grande coerenza, anche politica. Soprattutto etica. Il suo non è stato affatto il teatro del principe. Al contrario, un teatro umano».