Il segno degli artisti per Ustica. Andrea Mochi Sismondi ha raccolto decine di interviste a chi ha reso unico il Museo della Memoria

Brunella Torresin, «La Repubblica».

Chi è stato, chi ha abbattuto l’aereo civile in volo da Bologna a Palermo la sera del 27 giugno 1980, non lo sappiamo ancora. Sono trascorsi 41 anni, domenica ricorre l’anniversario della strage di Ustica e le domande, non meno dolorose né meno urgenti, si rinnoveranno poi, di sera in sera, lungo il calendario d’iniziative culturali. Coltivare il ricordo per giungere alla verità completa, informare per mantenere viva la consapevolezza di cosa può accadere quando lo Stato infrange il patto democratico di cittadinanza: è quel che Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime, chiama «fare memoria». Nel corso degli anni il suo «fare» ha incontrato e sollecitato il «fare» di centinaia di artisti. È stata una scelta di campo e uno strumento di coinvolgimento tenacemente perseguiti. Un libro, Il segno di Ustica, curato da Andrea Mochi Sismondi, autore, regista e attore, pubblicato da Cue Press, ne restituisce ora la polifonia di voci, e ne configura il futuro. Sono decine di interviste, a registi, cineasti, coreografi, musicisti, poeti, amministratori, scrittori, studiosi, curatori che hanno preceduto e accompagnato la creazione del Museo per la Memoria, che lo hanno abitato con le loro opere, con gli spettacoli ospiti delle rassegne estive, con i reading poetici,con i premi teatrali. 

Nel 2006, quando Daria Bonfietti e Andrea Benetti incontrarono Christian Boltanski, l’artista francese aveva già legato il suo nome a visioni indimenticabili dell’assenza, della vita perduta e del perdurare della memoria. Quell’anno il relitto del Dc-9 era giunto a Bologna da Pratica di Mare,dove erano stati assemblati 2800 frammenti recuperati dai fondali marini, e raccolti gli oggetti personali delle 81 persone la cui vita era stata interrotta da «un episodio di guerra in tempo di pace», come aveva stabilito la sentenza ordinanza delgiudice Rosario Priore.

L’installazione permanente che Boltanski decise di donare, e che ha trasfigurato il museo del relitto in una veronica di profondo lirismo, rappresenta un culmine. Ma tutt’attorno si raccoglie una moltitudine di testimonianze d’arte, quante mai un evento storico ne ha suscitate dal secondo dopoguerra a oggi. Un percorso unico, che le 320 pagine de Il segno di Ustica ricostruiscono, con le parole di Franck Krawczyk, Nino Migliori, Marco Paolini, Giovanna Marini, Virgilio Sieni, Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi, Marco Risi, Pippo Pollina, Andrea Purgatori, Flavio Favelli, Michele Serra, Enzo Vetrano e Stefano Randisi, Motus, Niva Lorenzini, Pietro Floridia... Le interviste raccolte da Andrea Mochi Sismondi – che in un capitolo, intervistato a sua volta, evoca lo spettacolo De facto , ideato con Fiorenza Menni a partire dal testo della sentenza – mettono a fuoco l’avvicinarsi, il motivarsi e il confrontarsi degli artisti con l’indicibile della strage. Vi sono elementi ricorrenti, nel loro «fare », a iniziare da una sorta di scarto emozionale, di lato e verso l’alto – e verso l’altro. Gli autori danno vita a lavori originali che mutano la traiettoria dei loro itinerari; il linguaggio di una sentenza diventa drammaturgia; un dolore privato si trasforma in battaglia civile. È una diastole e sistole, come il ritmo luminoso delle 81 lampade che nel Museo acquistano e perdono di intensità, come il battito di un cuore, dentro e fuori le pareti di un memoriale, nel corpo della città e della nazione.