«Non si può mettere un punto alla scrittura del Premio Nobel Jon Fosse» (Il Libraio.it)
Enrico Montanari, «Il Libraio.it», 15 novembre 2023
In occasione dell’uscita di Io è un altro, secondo volume della Settologia, ripercorriamo l’opera narrativa del Premio Nobel per la Letteratura del 2023 Jon Fosse.
A partire da una rilettura del romanzo-mondo strutturato in sette parti che, assieme alle produzioni teatrali, ne ha decretato il successo
Lo scorso 5 ottobre è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura del 2023 allo scrittore e drammaturgo norvegese Jon Fosse «per le sue opere innovative e la sua prosa che danno voce all’indicibile».
Un riconoscimento che ha risvegliato l’interesse per le opere di narrativa dell’autore (nato a Haugesund il 29 settembre 1959), oltre che per i testi teatrali per cui era già apprezzato (non a caso è stato definito «il Samuel Beckett del XXI secolo»).
A questo proposito, per chi volesse recuperare la bibliografia di Fosse, tra le pubblicazioni a sfondo saggistico e drammaturgico segnaliamo tra le prime uscite Teatro (Editoria e Spettacolo, 2006, a cura di Rodolfo di Giammarco) e Tre drammi (Titivillus, 2012, traduzione di G. Perin e F. Ferrari), passando poi a Saggi gnostici (2018, a cura di Franco Perrelli), Caldo (2019, a cura di Franco Perrelli) e Teatro (2023), volumi editi dalla casa editrice delle arti e dello spettacolo Cue Press.
Per quanto riguarda invece le opere di narrativa, lo scrittore è stato proposto in un primo momento da Fandango con Melancholia (2009, con la traduzione di C. Falcinella) e Insonni (2011, traduzione di C. Falcinella).
Due pubblicazioni a cui ha contribuito lo scrittore Sandro Veronesi, che in un’intervista a ilLibraio.it ha affermato, tra le altre cose, che «alla fine il tempo ha dato ragione alla grande opera di Jon Fosse».
Delle dichiarazioni esultanti a cui sono affiancate quelle di Elisabetta Sgarbi, che con La nave di Teseo pubblica attualmente l’opera narrativa del Premio Nobel («Mi sono commossa», ha raccontato in seguito alla vittoria).
La casa editrice milanese ha infatti tradotto le ultime uscite di Fosse, tra cui Mattino e sera (2019), L’altro nome (2021) e Io è un altro (2023).
Inoltre, dal 5 dicembre ritorna disponibile, in una nuova edizione curata da La nave di Teseo, Melancholia, uno dei libri più evocativi e magnetici del premio Nobel per la Letteratura 2023.
Questi ultimi due volumi fanno parte della Settologia, il romanzo-mondo strutturato in sette parti di Jon Fosse, da molti considerato il suo capolavoro.
Una mastodontica impresa che fonde diversi generi e linguaggi, realizzando un ibrido tra letteratura e forma teatrale, dove il flusso di coscienza regna sovrano (anche dal punto di vista stilistico, dove non sono presenti punti fermi a interrompere la narrazione).
«No, devo ritrarre l’immagine in modo tale che si dissolva e sparisca, come se diventasse una parte invisibile e dimenticata di me stesso, della mia stessa immagine interiore».
Ne L’altro nome di Jon Fosse (primo capitolo italiano della Settologia edita da La nave di Teseo, che presenta i primi due capitoli tradotti da Margherita Podestà Heir) un nuovo anno sta per concludersi ed Asle, un anziano pittore rimasto vedovo, è intento a ripensare ossessivamente alla sua storia come un novello – e più politicamente corretto – Barney Panofsky.
Tra i fiordi norvegesi, le piogge incessanti e i tergicristalli che battono ritmicamente, l’uomo abbraccia una solitudine pressoché totale, spezzata soltanto dal suo vicino, Åsleik, e da Beyer, un gallerista che vive in città e che ospita le sue opere.
Lì vive anche l’omonimo Asle, artista solitario consumato dall’alcool.
Un doppio che segue il racconto nebuloso del protagonista come una vivida ombra, assieme all’angelica figura di Ales, l’amata da tempo perduta…
Immerso nel suo soggiorno/atelier, il pittore rivive la sua arte, vera e propria estensione della sua persona, che lo accompagna da sempre con un morboso legame odi et amo.
Un grimaldello per far leva sull’indicibile per «l’affrescatore di ricordi» Asle, grazie al quale realizza la sua personalissima e disordinata sinfonia.
La prova lampante di questa ossessione si ritrova nelle prime fugaci apparizioni, dove il protagonista – appartato – fruga nel proprio passato alla ricerca di ricordi dolceamari della coppia Asle/Ales, alle prese con un amore giovane che si muove sulle ali della leggerezza adolescenziale.
Dal timido dondolare sull’altalena ai candidi angeli nella neve fresca, i ricordi dei due emergono durante la lettura come fantasmi da un passato lontano.
Jon Fosse, attraverso una scrittura frenetica, vorticante e straripante come un fiume in piena, realizza un’esperienza sensoriale e sinestetica, dove non è ammesso un singolo punto fermo a interrompere il fluire della narrazione.
«Una scelta non prevista, è successo da sé, per non bloccare il flusso.
Non pensavo neppure a un testo così lungo.
Cercavo semplicemente una prosa lenta, un’opera a cui non servisse l’intensità drammatica del teatro, spesso forte come l’epifania di una poesia» racconta l’autore in un’intervista al Corriere della Sera.
Nel testo incessanti domande scandiscono il soliloquio di Asle, dettando ritmo e pause del flusso di coscienza, come boe a cui affidarsi per non affondare in un mare di ricordi, dubbi e malcelate verità.
«Nessuno vedeva, tranne me e forse qualcun altro, che ciò che dipingevo erano le ombre, il buio in tutta quella luce, la vera luce, la luce invisibile, ma qualcuno lo vedeva?».
Un passaggio che esemplifica perfettamente l’abilità innata del pittore: dipingere le ombre, laddove la gente vuole rifugiarsi in spaziose case inondate di luce.
Allo stesso modo Jon Fosse ricerca la verità nei particolari, anche e soprattutto nei difetti, che spesso e volentieri rappresentano la parte migliore di un quadro.
La scrittura del Premio Nobel per la Letteratura del 2023 attinge a piene mani dalla forma teatrale, presentando incursioni religiose su Dio, sul battesimo e confrontandosi con l’inspiegabile tragedia della morte (e con la convivenza con quest’ultima).
«Sono nato nella Chiesa luterana, da ragazzo mi ritenevo ateo, influenzato dal marxismo. Poi sono diventato più religioso – forse a causa del mistero della scrittura: da dove viene ciò che scrivo?» si domanda in un’intervista a la Repubblica, parlando di spiritualità e arte.
La scrittura ha per Fosse la funzione di una velatura atta a conferire luminosità anche ai colori più scuri, come riportato anche in questo frenetico passaggio:
«E continuo così, a volte soltanto con il bianco, a volte soltanto con il nero, ma sempre con il colore a olio molto diluito, insisto fino a quando il buio comincia a brillare, dipingo nell’oscurità con il bianco o il nero e a un certo punto il buio diventa luminoso, sì sempre, sì, sì prima o poi il buio comincia a splendere».
Nel secondo volume della Settologia, Io è un altro (edito La nave di Teseo con traduzione di Margherita Podestà Heir, che presenta i capitoli dal tre al cinque) nuovi fantasmi emergono dal mellifluo e nebuloso passato di Asle.
In questo volume, tra amori fugaci, le prove per rock band e le prime sigarette, i destini dei due Asle sembrano destinati a incontrarsi.
E perchè no, anche a scontrarsi…
Attraverso leitmotiv ricorrenti come onde che si infrangono con fare ritmico sulla battigia (tra cui l’ultimo quadro di Asle, somigliante a una Croce di Sant’Andrea), il pittore si addentra in un mare di nebbia alla ricerca di volti familiari, sfruttando la sua arte come risacca che porta a riva conchiglie e rifiuti.
Dalla confusa figura della sorella, legata a un trauma invalicabile, a Testa Pelata, un individuo dal fare viscido che segna il finale de L’altro nome, in Io è un altro viene presentato a lettrici e lettori un racconto più lineare – dove sembra attenuata la sbornia stilistica di Fosse – pur rimanendo all’interno del serrato flusso di coscienza di Asle.
Il tutto però presentando un tratto ricorrente: la preghiera-sipario, ovvero la chiusura del capitolo con uno scorrimento dei grani del rosario che – come lo scorrimento di un grande velo – detta ombra sul palcoscenico.
Un’ombra fatta di «luminosa oscurità», che nelle opere dell’autore – attraverso una scrittura ispirata e irrefrenabile – è fonte di straripante ricchezza e vitalità.
D’altronde, non si può mettere un punto alla scrittura del Premio Nobel Jon Fosse.