Quando le pièces di Strehler si «scoprivano» in altri teatri

Andrea Bisicchia, «Il Giornale».

Il grande regista a Milano iniziò al Lirico e all’Odeon. Poi aprì il Piccolo. Tutta la storia nel libro di Bentoglio.

Non molti sanno che il nonno e il padre di Strehler fossero stati impresari e organizzatori del Politeama Rossetti, del Verdi e della Fenice di Trieste. Tutti sanno che la mamma era una celebre violinista che, per lavoro, si era dovuta trasferire a Milano col figlio Giorgio dove, il ragazzo di appena sette anni, comincerà a conoscere la lingua meneghina che alternerà con quella tedesca, francese e col dialetto triestino. Milano diventa la sua patria di adozione, studierà al liceo Parini e imparerà dizione, recitazione e cultura teatrale, insieme a Franco Parenti, all’Accademia dei Filodrammatici, da dove uscirà con la medaglia d’oro perché ritenuto l'allievo: «più ricco di risorse drammatiche, di slancio, di colore, di autorità».

A Milano Strehler sposerà la ballerina Rosa Lupo e comincerà a recitare insieme a dei mostri sacri come Annibale Ninchi, Gualtiero Tumiati, Camillo Pilotto, Maria Melato, Marcello Giorda. La sua formazione giovanile era avvenuta a contatto della tradizione del Grande attore, quello del teatro «All'antica italiana», imparerà, così, a girovagare nei vari teatri della penisola. Sempre a Milano conoscerà Paolo Grassi con cui collaborerà al Circolo Diogene di via Brera e alla Sala Sammartini di via del Conservatorio dove, insieme ad altri artisti, i dioscuri, si impegnarono a rifondare il teatro milanese che viveva una situazione di immobilità. Nel 1945 inizierà la sua attività di regista con una serie di spettacoli al Teatro Odeon, al Lirico, al Nuovo, fino al 1947, anno della fondazione del Piccolo, nel quale, alla prima stagione, metterà in scena ben 6 spettacoli. L'anno dopo, in un convegno, organizzato da Grassi, alla Casa della cultura, Strehler inizierà a lanciare gli strali contro lo Stato che accusava d’inerzia, invocando la nascita di un teatro nazionale, essendo il Piccolo nato come teatro comunale; evidenziando la situazione grama della regia in Italia, sottomessa alle esigenze dei capocomici che la ritenevano marginale, tanto da mettere in difficoltà i giovani registi che non potevano vantare diritti e dovevano accontentarsi di paghe da fame.

Mattia Visani ha appena pubblicato, per Cue Press, in occasione del centenario della nascita (1921), un volume di Alberto Bentoglio, docente di Storia del teatro all’Università Statale di Milano, dal titolo 20 lezioni su Giorgio Strehler, certamente il più completo, all’interno di una bibliografia già abbastanza vasta sul regista triestino, un libro che ha un preciso scopo didattico, perché destinato agli studenti, ma valido per tutti coloro che vogliano conoscere l'avventura del nostro più grande regista. Bentoglio invita il lettore alla conoscenza del lungo percorso strehleriano, sia nel teatro di prosa che in quello operistico, arricchendo i suoi studi con nuovi documenti. Il percorso è molto accidentato, fatto di sfide continue, condivise con Grassi, per liberare il teatro milanese dallo stallo in cui viveva, per renderlo un servizio pubblico, oltre che una necessità collettiva che abbisognava di una fusione tra arte, politica e organizzazione, per l’avvento di una nuova civiltà teatrale che nascesse anche dalla aggregazione di nuove classi sociali. Durante i primi anni, i problemi da risolvere furono tanti, a cominciare da quelli economici, ma la ditta Grassi-Strehler riuscirà sempre a superarli. Bentoglio analizza gli spettacoli, trasportando il lettore dagli anni del realismo poetico, quelli legati a L'albergo dei poveri, alla prima edizione dei Giganti della montagna, a Le notti dell’ira, a Casa di bambola, dove il grido di rivolta di Nora coincide con quello di Strehler. Si tratta di un repertorio vastissimo, dato che, in un anno, egli era capace di curare la regia di ben 10 spettacoli, alternando prosa e opera lirica alla Scala e rinnovando i canoni tradizionali del mettere in scena. Bentoglio si attarda sui grandi eventi, quelli di spettacoli memorabili come La Tempesta, Re Lear, Il Campiello, El nost Milan, Galileo, L’opera da tre soldi, Il giardino dei ciliegi, Come tu mi vuoi, La grande Magia, Faust e altri. Le sue regie rinnovavano i testi, tanto da renderli suoi, perché era capace di scoprire significati nascosti ai loro stessi autori. In verità, Strehler scriveva dei «saggi» sul palcoscenico, svelava i misteri della creazione, eppure, diceva, che la sua metodologia era caratterizzata da «fatti tecnici» e dalla «concretezza dello spazio».

A conclusione dell’ultimo capitolo, Bentoglio riporta alcune parole di Ronconi, dedicate al Maestro, pur con la consapevolezza che il loro modo di fare teatro fosse diverso, perché entrambi avvertivano la necessità: di «difendere il teatro dalla volgarità imperante». Tra i due non c'è mai stata contrapposizione, come qualcuno sosteneva, ma consonanza di idee.