Turbare l’anima dello spettatore davanti alla violenza, per renderlo complice e aiutarlo così a smascherare la realtà

Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».

Realismo globale di Milo Rau, Editore Cue Press, è un libro necessario per meglio conoscere il regista, che, in questo ultimo decennio, ha fatto parlare di sé e del suo teatro d’impegno sociale, politico, anche se non proprio ideologico. Sfruttando certi eventi drammatici, diventati iconici, ha potuto portare in scena il mondo globalizzato, in particolare quello dei vinti, ricorrendo a un realismo che non ha nulla a che fare con quello di matrice naturalista, perché la realtà che a lui interessa è quella dell’accadere, matrice del ‘realismo globale’, ovvero di quello che si trova nello spazio interno al capitalismo mondiale, con i suoi effetti deleteri, ma è anche la realtà degli invisibili, degli oppressi, delle dignità calpestate.

Milo Rau ha fatto studi di sociologia, suoi maestri sono stati Derrida e Ziegler, è infarcito di nozioni che riguardano il postmoderno e il decostruzionismo. Egli pone, dinnanzi a sé, il mondo globalizzato, consapevole che i metodi estetici di prima siano stati superati da eventi che riguardano, non le realtà di una nazione, ma quelle del globo, mettendone in luce tutte le contraddizioni.

Negli anni Settanta, i teorici sostenevano che il teatro andava rietralizzato.

Oggi compito del teatro è quello di vigilare, di rappresentare le violenze, le conflittualità che avvengono in molte parti del mondo, che producono emozioni estreme, proprio quelle che Milo Rau porta in scena attraverso la dialettica tra il reale e l’immaginario, a vantaggio, però, di una riflessione sociale. Per questo motivo, egli cerca di rappresentare la realtà utilizzandone tutte le implicazioni, mostrandola direttamente in azione, che non vuol dire riproporre la formula del Teatro documento, quello, per intenderci, di Il caso Oppenheimer (1964), Il processo di Savona (1965), L’istruttoria (1965), Il caso Matteotti (1968), Il fattaccio di giugno (1968), Cinque giorni al porto (1969), Otto Settembre (1971), W Bresci (1971), Duecentomila e uno ( 1973), solo per citare alcuni esempi di una Stagione irripetibile.

A Rau interessa recuperare la memoria del presente, per poter riflettere sugli eventi estremi che produce, quella che lui chiama re-enactment, che vuol dire rievocazione, ricostruzione. Non è il contesto che gli interessa, bensì la riproduzione delle sensazioni di sconvolgimento che proviamo dinanzi a quegli eventi, in modo da creare uno spettatore complice, oltre che partecipe di questi sconvolgimenti, senza la conoscenza dei quali, non può esserci smascheramento.

Il volume raccoglie una serie di interviste, di discorsi, di manifesti, dove teorizzazioni, anche politiche, si alternano con le note di regia degli spettacoli messi in scena dal 2009 al 2019, da The last days of Ceausescus a City of Change, da Hate Radio a Breivik’s Statement. Gli argomenti trattati riguardano il «realismo globale», «L’Umanesimo cinico», «Il teatro mondiale», «L’attore nel XXI secolo». Vi troviamo anche Il manifesto di Gent, dove Milo Rau si sofferma sulle ‘Regole’ che le Istituzioni dovrebbero rendere pubbliche, sul ‘teatro di città del futuro’, sui contenuti, sui programmi, sulle tournée, sull’ensemble multilingue.

Rau vorrebbe cambiare il mondo attraverso il teatro. In questo non è certamente il solo. Ci hanno provato i Maestri del passato, consapevoli del fatto che il teatro sia la fonte primaria dell’utopia. Si spera, che in un prossimo libro, possano essere raccolti i suoi copioni per poter fare un confronto tra quanto è stato teorizzato e quanto appartiene al testo scritto.

Il volume è preceduto da un intervento di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, dalla premessa di Rolf Bossart, autore anche delle interviste a Rau, e da una nota al testo di Silvia Gussoni, che ha curato anche la traduzione con Francesco Alberici.

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