Un disordine incarnato, il teatro secondo Jouvet
Laura Bevione, «Hystrio», luglio-settembre 2020.
«Il teatro è disordine incarnato»: è a partire da questa felice constatazione che Louis Jouvet muove le proprie osservazioni e i propri pensieri sull’arte teatrale, cui egli si approcciò per esperienza diretta, come attore e regista, e non soltanto quale studioso. Riflessioni articolate e complesse che sono ora finalmente tradotte, da Brunella Torresin, e pubblicate, con la cura di Stefano De Matteis, anche autore di un’approfondita introduzione. Sulla scia del Paradosso dell’attore di Diderot – di cui sono messi in luce i limiti – e dell’estetica ottocentesca, Jouvet tratteggia il suo sfumato ritratto del comédien, che è altra cosa rispetto all’acteur, quest’ultimo professionista che, anziché ‘essere abitato’ da un personaggio, lo ‘abita’ lui stesso – rivendicando la priorità della pratica quale base dell’elaborazione teorica – si tratta, d’altronde, di un «mestiere empirico». Jouvet, ancora, individua nel ‘sentimento’ ciò che contraddistingue il comédien, differenziandolo dal mero ‘declamatore’ di un testo. Tratta di respirazione e atteggiamento nei confronti del personaggio, di vocazione e del Conservatoire di Parigi, dove fu a lungo insegnante. Jouvet accosta aneddoti, incontri, osservazioni pregnanti non perché miri a elaborare una – impossibile – teoria dell’arte dell’attore, bensì poiché inconsapevolmente impegnato nella costruzione di una dettagliata antropologia, acuta e indubbiamente contemporanea, benché non sistematica. Ma leggendo i materiali compositi raccolti in questo prezioso volume – comprese anche le note Lezioni sul Tartufo e una sorta di ‘dizionario’ che sintetizza l’arte del comédien secondo Jouvet – è inevitabile riconoscere una precisa e solida idea di teatro, i cui contorni sono delineati più per esclusione e negazione che da una vacua assertività.