Un ballo in maschera

Sinfonia tragica e folle di personaggi rapiti da un gusto sempre più funebre, sempre meno celato del grottesco, Un ballo in maschera racconta un’utopia personale, struggente ed estrema, e insieme il congedo del teatro inconsapevole e forzato di Mejerchol’d dal contesto e dalla sua vita.

Con ben diverse premesse, tanti anni prima, sulle scene del teatro imperiale di San Pietroburgo lo stesso spettacolo aveva annunciato la fine del teatro borghese, la morte di un’era, l’avvento prossimo della rivoluzione.

Tolto dall’agiografia e dalla leggenda, Un ballo in maschera – il cui percorso viene ricostruito qui nella versione del 1938, in base agli stenogrammi delle prove e alle testimonianze dirette – diviene, nella sua ricca e complessa strategia di costruzione dello spettacolo, il vero testamento di un regista che salva, nelle condizioni più ostili, la sua visione, la sua intenzione del teatro, la sua pedagogia.

A cura di Anna Tellini

Vsevolod Ėmil’evič Mejerchol’d

Nato nel 1874 a Penza, esordisce come attore nella compagnia del Teatro d’Arte di Mosca.

Nel 1905, al Teatro D’Arte di Stanislavskij, organizza una nuova compagnia: nasce così l’importante periodo del Teatro Studio di Mosca.

Lavora poi stabilmente a Pietroburgo, fino allo scoppio della rivoluzione bolscevica.

A partire dal 1920, rivisita in chiave rivoluzionaria classici del teatro russo.

Negli anni Trenta, viene accusato di tendenze contrarie al realismo socialista e i suoi spettacoli vengono vietati.

Tacciato di estraneità e ostilità alla società sovietica, nel 1940 viene giustiziato tramite fucilazione.