«Aspettando Godot. I quaderni di regia di Samuel Beckett», recensione di Angela Forti
Angela Forti, «Teatro e Critica», 31 marzo 2022
Cue Press ha pubblicato a fine anno il volume Quaderni di regia e testi riveduti. Aspettando Godot, la traduzione e l’adattamento a cura di Luca Scarlini, dell’inglese The theatrical notebooks of Samuel Beckett curato da James Knowlson (principale biografo di Beckett) e Dougald McMillan (Faber&Faber, 2019).
Un’operazione maestosa: una vera e propria collana di quaderni di regia, partendo da Aspettando Godot e che poi passerà per Finale di partita, L’ultimo nastro di Krapp, e gli Shorter plays. Nel 1975 Beckett ha l’occasione di curare per la prima volta la regia di Aspettando Godot per lo Schiller Theater di Berlino. Ne seguirà una ulteriore, in inglese, per il San Quentin Drama Workshop di Londra nel 1984. Sono passati più di vent’anni dall’edizione e dal primo allestimento francese di Aspettando Godot. Ora, l’ormai esperto autore teatrale che è Beckett si immerge nel confronto tra testo e scena viva, da cui deriva una revisione a tratti radicale del testo, una cura maniacale di ogni movimento scenico e di ogni immagine, che si ritrovano non solo nei contenuti, ma anche graficamente, nei suoi quaderni.
Il volume Quaderni di regia e testi riveduti. Aspettando Godot tradotto e adattato da Luca Scarlini e pubblicato da Cue Press a dicembre 2021, di quasi cinquecento pagine, ha una struttura complessa. Innanzi tutto, pur concentrandosi sul testo per la produzione tedesca dello spettacolo, si articola nell’analisi e nel confronto di nove differenti copioni e revisioni: dall’Asmus, la prima edizione inglese di Godot e utilizzato come testo di partenza per la produzione al San Quentin, alla Suhrkamp Verlag usata allo Schiller Theater; e, ovviamente, i quaderni di regia di Beckett (preliminare e definitivo) per la produzione tedesca, più il copione annotato e i copioni Held e Thorpe appartenenti agli omonimi interpreti nella produzione tedesca.
L’edizione Cue Press è articolata in diverse sezioni: dopo le note introduttive e la prefazione, viene proposta una versione riveduta del testo che segnala tipograficamente le aggiunte, le revisioni e i tagli apportati da Beckett all’edizione originale inglese del 1954. Questo capitolo, per quanto apparentemente il più scontato, rappresenta nell’ambito dell’edizione italiana un passaggio delicato e un punto di svolta fondamentale: con questa pubblicazione, infatti, Cue Press ottiene una parte del diritto sul testo dell’autore irlandese, da anni bloccato e stampato, insieme agli altri testi, unicamente da Einaudi nella traduzione di Carlo Fruttero del 1967. Qui viene finalmente proposta una traduzione inedita, che non rinuncia necessariamente al carattere talvolta poetico (che invece caratterizza la versione di Fruttero) ma che ha ben chiare le necessità tipografiche e si presenta in un approccio di grande fedeltà al testo originale, concentrandosi sui diversi passaggi testuali e sulla scrittura spesso criptica di Beckett nel tentativo di preservarne i più sottili dettagli, i quali divengono poi la base per un corposo e affascinante apparato di note.
Il cuore della pubblicazione rimane però, senz’altro, il quaderno di regia di Samuel Beckett per la produzione tedesca dello Schiller Theater. Le pagine originali sono qui scannerizzate, stenografate e tradotte, per permettere la lettura di un materiale di scrittura denso e articolato. È emozionante immergersi nella calligrafia rapida, che alterna le parti e parole del testo in tedesco a descrizioni in inglese dei più piccoli movimenti, a disegni e schemi che riassumono le disposizioni e gli spostamenti degli attori in scena. Troviamo tante cancellature, pesanti e nere, tante correzioni e aggiunte a penna rossa. Qualche appunto, qua e là, che ci restituisce il senso dello scontro tra testo e scena, tra aspettativa e realizzazione (interi passaggi barrati e seguiti da un laconico 'irrealizzabile”', pagine bianche con soltanto, in un angolo, un 'no need', 'non necessario', e una croce rossa).
Una lettura complessa, quella di questo volume: non certo un 'romanzo teatrale' da divorare, bensì un viaggio da compiersi un po’ per volta, scena per scena, frase per frase, movimento per movimento. Il sofisticato apparato di note ci guida in un’analisi possibile del testo teatrale, così come degli appunti registici del suo autore: tra queste pagine non troviamo rivelazioni sconcertanti, appunti sui significati, tanto meno qualche indizio sulle domande che da sempre questo testo spalanca (e a cui il primo a non dare alcuna risposta fu proprio Beckett). Bensì troviamo trascritto il lavoro meticoloso di un regista, i tentativi sulla scena, la sfida – accettata – e insieme l’occasione di rimettere in discussione le proprie parole, di approfondirne la trasformazione in contatto con la materia viva del teatro. Una lettura preziosa per vedere da vicino questo processo ulteriore di traduzione (dal francese, all’inglese, al tedesco, alla scena) sofisticato, artigianale, denso di riferimenti, lievi bagliori, intuizioni felici e tentativi che ci restituiscono questo testo non soltanto nella sua versione mistica e mitica, ma nella veste ancora più affascinante di un materiale mutevole sulle fondamenta di un pensiero filosofico radicato, che ormai è cifra della comprensione della nostra modernità.