«Barabba. In scena l’opera di Tarantino a metà strada tra commedia e tragedia», di Andrea Jelardi (Palcoscenico)
Andrea Jelardi, «Palcoscenico», n° 2 dicembre 2022/gennaio 2023
A due anni dalla morte dell’autore, al Nest con Schiano di Cola diretto da Teresa Ludovico. La storia di un uomo solo che si snoda in uno spazio chiuso ma al tempo stesso riflesso dell'esterno e delle vicissitudini di tutta l'umanità
Al Nest – Napoli Est Teatro il 21 e 22 gennaio va in scena Barabba di Antonio Tarantino, esponente della drammaturgia contemporanea ombroso e solitario ma anche poliedrico e innovativo, scomparso a ottantadue anni nel 2020 e autore di vari testi teatrali, tutti scritti in età matura dopo una lunga esperienza come artista figurativo.
Nella sala partenopea – allestita con quasi cento posti in una scuola abbandonata – la stagione 2022-2023 è stata denominata Vieni a scoprire i nostri assi, e non è dunque casuale la scelta di Tarantino tra gli autori rappresentati, così come non lo è quella dell'opera, composta nel 2010 ma rimasta inedita fino alla pubblicazione postuma nel 2021 per le edizioni Cue Press e la prefazione di Andrea Porcheddu.
Lo spettacolo, interpretato da Michele Schiano di Cola e con allestimenti e luci di Vincent Longuemare, è diretto da Teresa Ludovico che già in passato ha rappresentato altri rilevanti testi del Maestro come La casa di Ramallah, Namur, Cara Medea e Piccola Antigone, tutti accomunati da personaggi che – come la stessa regista ha dichiarato – sono «portatori di mitiche ferite, chiedono all'attore di essere incarnati così come si presentano: nudi e crudi, senza nessun giudizio» e dei quali spicca soprattutto «la voce, magari rauca, di quella umanità che ha paura dell'altro, che si sente continuamente minacciata e che vive di doppiezza».
In Barabba però Tarantino, come nei drammi d'esordio – tra cui il monologo Stabat Mater e i testi della cosiddetta Tetralogia delle Cure – riporta sul palcoscenico un personaggio evangelico rendendolo protagonista di un'opera quasi integralmente in versi e a metà strada tra commedia e tragedia, facendo emergere con tutta la sua forza l'anima tormentata del protagonista come tramandato dalla tradizione dei quattro vangeli canonici che lo identificano già dal suo nome come letteralmente 'Figlio del Padre' o 'Gesù Barabba'.
Ebreo detenuto dai Romani a Gerusalemme assieme ad alcuni ribelli e negli stessi giorni della passione di Cristo, Barabba com’è noto venne liberato da Ponzio Pilato per volontà del popolo chiamato a scegliere chi rilasciare tra lui e Gesù di Nazareth, trovandosi così a vivere un dramma personale che diventa poi dramma collettivo e fatto storico.
Nel suo teatro di emozioni e di pathos, fondato sulla forza dirompente della parola e del linguaggio spesso crudo e contemporaneo, Tarantino tratteggia in maniera netta la storia di un uomo solo e che si snoda in uno spazio chiuso ma che al tempo stesso è il riflesso dell’esterno e delle vicissitudini di tutta l'umanità: Barabba isolato nella sua cella, si trova infatti ad essere involontario testimone della condanna e del martirio di Gesù, anch'egli Figlio del Padre, e si interroga allora alla ricerca di una verità superiore ed evidentemente distante da quella terrena talvolta ingannevole e che si concretizzerà difatti in forme diverse: nella crocifissione dell’uno e nella salvezza dell'altro. Lo stesso nome, ma due destini opposti.
Barabba si tormenta nel suo meditare rabbioso e incontrollato finché Cristo, pur essendo in procinto di morire sulla croce, impartisce la benedizione urbis et orbis. Comprenderà così solo allora che la verità divina non conosce alcuna contraddizione ed è talmente avulsa dalle miserie terrene da sembrare persino folle, potendo così finalmente raggiungere la fede e la serenità: «Se lui mi ha assicurato che me la caverò allora vuol dire che ci devo credere perché è venuto qualcuno che mi ha voluto bene. Roba da matti».