La grande avventura d’un teatro minore. Amato dai Futuristi. Tra acrobati, giocolieri e chanteuses. Ecco il Café Chantant

Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».

Chi voglia conoscere la storia del Café Chantant in Italia, dalla sua nascita agli ultimi strascichi del secondo Novecento, consiglio di leggere il libro di Rodolfo De Angelis: Café-chantant, pubblicato da Cue Press, nella Collana «I saggi del teatro», a cura di Stefano De Matteis, a cui dobbiamo anche la pubblicazione, nel 1980, per Feltrinelli, di Follie del Varietà, 1890-1970, coadiuvato, nella curatela, da Martina Lombardi e Marilea Somaré, che costituisce una specie di arricchimento al libro di De Angelis, per aver coinvolto, con brevi scritti di ricordi personali, impresari, comici, soubrettes, critici, tutti attenti a raccontare la grande avventura di ‘un teatro minore’, che ha poco da invidiare al teatro borghese del tempo.

Nella seconda metà dell’Ottocento, grazie a una nuova legge di liberalizzazione in materia teatrale, si affermarono nuovi generi che favorirono l’estensione dello spazio teatrale dal palcoscenico al Caffè, segnando il passaggio da un luogo di dibattito e di riflessione a un luogo di divertimento.

È chiaro che, ogniqualvolta nasce un genere nuovo, non basta indagarlo esteticamente, anzi diventa necessaria una indagine di tipo sociologico proprio perché, la diversità dei generi, presuppone pubblici diversi, con differenziazioni di classe sociale, alla quali corrispondono modalità fruitive, a loro volta, differenti, dovute a forme di adesione al genere scelto che rispecchiano la formazione culturale dello spettatore. Basterebbe elencare i generi che si affermarono nel periodo indicato: dal Melò al Melodramma, dal Café Chantant al Varietà, dall’Avanpettacolo al Music Hall, per capire le preferenze di un pubblico che offrono uno spaccato dell’Italia liberale e, successivamente, di quella Umbertina e Giolittiana, con i primi successi dei socialisti. Il pubblico che frequenta il Café Chantant è quello di strada che non va in cerca della legittimazione sociale come quello dei teatri borghesi.

Al Café Chantant bastava una pedana, un pianoforte, una cantante e un’attrazione per far diventare complice lo spettatore, libero di intervenire, durante lo spettacolo, con approvazioni e disapprovazioni, col consenso e il dissenso. Il momento d’oro del Café Chantant coincide col primo decennio del Novecento, proprio quando inizia l’attività Rodolfo De Angelis che, da apprendista ragioniere, si vede catapultato sulle tavole di palcoscenici improvvisati.

Secondo De Matteis, De Angelis non fu né un grande comico, né un grande artista, bensì un buon cantante e, successivamente, un ottimo organizzatore, oltre che un testimone. Dobbiamo a lui il lungo racconto di questo genere, in particolare, di quanto avveniva nei locali di Napoli e Milano, con la capacità di farci rivivere le programmazioni dei Café Chantant, raccontandoci non solo degli artisti, ma anche dei tirasipario, dei portacesti, ai quali si doveva il successo o l’insuccesso dello spettacolo. Si sofferma, inoltre, sugli ‘ordini del giorno’, dove si leggeva: «Ogni minuto di ritardo sarà multato», sui vari ‘numeri’ che venivano eseguiti, sulla spartizione del repertorio. Indugia anche sul malcostume degli spettatori, spesso chiassosi e irriverenti, pronti a evidenziare i loro gusti sessuali, invocando l’artista tettona e ‘cicciuta’, con le divette che si dividevano gli spettatori, che, per loro, si trasformavano in un vero e proprio incubo.

Fondamentale il capitolo che De Angelis dedica alle attrazioni, elencandole quasi tutte, si va dagli acrobati, ai danzatori sul filo, al giocoliere, all’uomo serpente, al ventriloquo, al fachiro, al lanciatore di coltelli, al trio ciclistico, fino ai Quadri plastici che tanto piacevano ai Futuristi, con i quali De Angelis iniziò una collaborazione, non solo come autore insieme con Marinetti e Cangiullo del Teatro della sorpresa, di cui si possono leggere, nel libro, i Manifesti, ma anche come organizzatore della Compagnia del Teatro Futurista che, a dire il vero, non ebbe lunga vita.

Negli anni Trenta, De Angelis registrò un successo travolgente con la canzone: Ma cos’è questa crisi, che lo fece vivere un po’ di rendita, dato che il Café Chantant mostrava già il suo declino.

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