Firmato Koltès. Drammaturgo maledetto (il Venerdì di Repubblica)

Angelo Molica Franco, «Il Venerdì di Repubblica», 13 maggio 2022

Escono le Lettere del 'teatrante' francese, genio irregolare in patria, non abbastanza conosciuto fuori.

A circa metà del dramma Roberto Zucco, l'ultimo scritto da Bernard-Marie Koltès (1948-1989) - ispirato alle vicende del serial killer veneziano Roberto Succo -, in uno dei monologhi più toccanti della rappresentazione, dopo aver scaraventato il padre giù dalla finestra e strozzato la madre, il protagonista dice: «Io non sono un eroe. Gli eroi sono dei criminali. Non c'è eroe i cui abiti non siano inzuppati di sangue, e il sangue è la sola cosa al mondo che non possa passare inosservata».

Sempre vicino alle esistenze dei déraciné, degli emarginati, degli ultimi, certo non stupisce tale antieroismo da parte del drammaturgo francese che, sebbene in patria sia stato ormai aureolato maestro, fuori dai confini nazionali è sconosciuto al grande pubblico poiché fatica a essere messo in scena vista l'irriducibile letterarietà dei suoi testi. Una certa attenzione da noi se la guadagna dopo che nel 2018 Pierfrancesco Favino recita sul palco di Sanremo un monologo da La notte poco prima delle foreste, un testo tagliente e attuale di Koltès sulla solitudine degli stranieri che nessuno vede perché sono 'il rumore di fondo' delle nostre città.

Tuttavia, di Bernard-Marie si sa poco: che è nato a Metz e morto a Parigi, che era un bohémien, un viaggiatore frenetico, un omosessuale, che morì di Aids a soli 41 anni. Soprattutto, che era bellissimo: labbra piene, incarnato niveo, occhi tristi e cesellati. A raccontarci, allora, il carnevale nero che è stata la via dell'autore di capolavori quali Nella solitudine dei campi di cotone e Il ritorno al deserto ci pensa la sua corrispondenza raccolta in Lettere, (Cue Press, a cura di Stefano Casi, traduzione di Giorgia Cerruti). Scopriamo, così, che si è sempre considerato «un povero ragazzino sbrindellato». Solo una certezza lo mandava avanti, l'essere «un teatrante». Agli amanti non si negava mai: «Ogni due giorni ho complicate storie d'amore, e più d'una alla volta» confessa bramoso. Ed è attratto fatalmente da una pasoliniana vita violenta: «Non desidero che una cosa: di correre dei rischi». I corrispondenti fidati sono pochi amici - tra cui l'attrice Maria Casarès e il regista Patrice Chéreau -, nonché la famiglia. Con la madre, presenza «indispensabile» delle missive, Bernard-Marie è ineditamente dolcissimo: si sente «un cucciolo gentile», adombrato da questo gigante di donna «che non si spaventa mai». Come spiega il curatore Casi nella prefazione, proprio a lei a vent'anni rivela di voler vivere «a servizio del teatro», il solo territorio dove rischia di essere felice.

Sprecheremmo del tempo, però, a chiederci chi sia stato davvero Koltès, se il genio maledetto o il figlio devoto, se il teatrante del margine o l'uomo libertino. Persino lui, alla sera della vita, di fronte a una sua foto sfocata si domanda: «Con così tanti riflessi mescolati attraverso lo specchio, cosa resta dell'uomo?». Ma alla fine, rinuncia a rispondere.

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