In bilico tra abissi, rive e seduzioni. Viaggio tra gli scritti di Vachtangov
Angela Forti, «Teatro e Critica».
Dopo gli scritti di Mejerchol’d (Cultura non è star sopra un albero. Mejerchol’d e il teatro dell’avvenire), Fausto Malcovati ci accompagna nella lettura dei brevi, frammentari scritti E. B. Vachtangov, personaggio forse meno popolare negli studi teatrali, ma pur sempre nodale nello sviluppo del teatro russo del primo Novecento. Il sistema e l’eccezione, pubblicato da Cue Press nel 2020, tenta di mettere in ordine e assegnare un percorso ai pochi scritti che di questo autore sono rimasti. Dagli appunti di pedagogia alle lettere, dalle note di diario alle regie. Un percorso accidentato, a tappe, nella vita dedita e minuziosa di un uomo del teatro e per il teatro. Nella lunga e dettagliata introduzione al volume, Malcovati ci avverte delle tematiche centrali del pensiero di Vachtangov, così come della poca organicità e della forte emotività che influisce sui suoi scritti. La biografia di Vachtangov è costantemente accompagnata dalla lotta contro una malattia subdola e invalidante. Numerose sono le lettere inviate dall’ennesima casa di cura, nelle quali l’autore si scusa per l’utilizzo della matita e per la calligrafia poco ordinata.
Molto presto nella lettura emerge il punto nodale della ricerca e dell’esperienza artistica di Vachtangov, ovvero il teatro come pedagogia. Dapprima da allievo, dedito e licenzioso, ammiratore entusiasta del Sistema stanislavskijano; poi da Maestro e da direttore dei numerosi studi che gli vengono affidati in uno stretto giro di anni; quello che è emerge dai suoi scritti è un Maestro affezionato e generoso, ma anche severo, puntiglioso, spesso irascibile nell’invocare una disciplina, quella che lui definisce «studieità», che non riguarda soltanto la pratica teatrale ma che deve regolare tutta la vita degli studenti, in uno slancio totale nei confronti dell’arte e del teatro. Così come la narrazione è scandita dalla malattia che incalza e le sempre più rare dimissioni, così anche la psicologia dell’autore oscilla pericolosamente tra slanci di grande entusiasmo e iniziativa a pensieri di sconforto, delusione e angoscia. Tra le preoccupazioni principali di Vachtangov è il tempo che corre, la volontà di lasciare un’eredità il più possibile fertile, di farsi ricordare non solo come maestro ma anche come artista. Per Vachtangov la regia non rappresenta ancora, in questa fase, una disciplina autonoma, ma è a tutti gli effetti un’estensione della funzione pedagogica del maestro. Egli partecipa in prima persona alle rappresentazioni degli Studi, impara con i propri studenti, anche mettendo a rischio la propria autorevolezza e il proprio ruolo di regista. Negli appunti relativi alle regie la riflessione si concentra sull’attore e sul personaggio, lo spazio scenico viene chiamato in causa come correlativo contestuale dell’attore, come estensione della psicologia e dei temi dell’opera, in un’innovazione coraggiosa ma al contempo lontana, almeno nelle intenzioni, dalle sperimentazioni più ardite degli autori a lui contemporanei. L’aspetto pedagogico è preponderante in tutti i capitoli del libro, e va di pari passo con la rivisitazione critica dei maestri dello stesso Vachtangov, Stanislavkij, Suleržickij e Nemirovič-Dančenko, i cui modelli di insegnamento sono condivisi con ammirazione e entusiasmo, ma di cui sono criticati fortemente gli orientamenti registici, in una revisione sempre più forte di quel realismo che anche a Vachtangov appare, ormai, fuori tempo, e che viene rinnegato in favore di un nuovo e più consistente coinvolgimento dello spettatore e di una sua rinnovata consapevolezza nei confronti dello spettacolo, sulla scia di quello che stava teorizzando Mejerchol’d negli stessi anni.
Anche la Rivoluzione assume un volto nuovo negli scritti di Vachtangov. Complice la frammentarietà dei contributi di questo volume, essa giunge nel pensiero dell’autore quasi all’improvviso, con un discreto ritardo; nel momento in cui compare, però, assume un ruolo centrale, dirompente, soprattutto per quanto riguarda la concezione del rapporto tra attore e spettatore. A questo punto, a partire dalla messinscena dell Erik IV, Vachtangov dichiara la fine dello studio della revivescenza stanislavskijana e inaugura un periodo di ricerca di forme teatrali: «Questo è il primo esperimento. Un esperimento a cui ci hanno spinto i nostri giorni, i giorni della Rivoluzione». La Rivoluzione, infatti, chiede un teatro fatto con il pubblico e per il pubblico, e soprattutto pone nuovi interrogativi, aprendo lo spazio a una riflessione inedita che si impernia sul termine «giustificazione». L’arte, con la Rivoluzione, non basta più a sé stessa; il naturalismo non è più scontato; la scenografia, le tematiche, gli attori non sono più scontati. Vachtangov non avrà mai il tempo di realizzarlo pienamente, ma intuisce perfettamente che a un mondo nuovo ciò che serve è un teatro nuovo, capace di «sentire l’oggi nel domani e il domani nell’oggi».