«Quaderni di regia e testi riveduti. Aspettando Godot», recensione di Luca Ruocco

Luca Ruocco, «InGenereCinema.com», 16 giugno 2022

«Gli stivali vanno tolti ogni giorno, perché non mi ascolti?»

«Perché non mi aiuti?»

«Fa male?»

«Ecco l’uomo. Dare agli stivali la colpa dei piedi. Una cosa inquietante.»

[…]

«E se te li provi?»

«Ho provato di tutto.»

«Parlo degli stivali.»

«Sarebbe una cosa buona?»

«Ci farebbe passare il tempo. Sicuro sarebbe un intrattenimento.»

«Un rilassamento.»

«Un divertimento.»

«Un rilassamento.»

Aspettando Godot di Samuel Beckett è uno dei testi teatrali che dovrebbero stare alla base della formazione culturale di chiunque senta il bisogno di lavorare non solo col teatro, ma con la scrittura tutta, il linguaggio, la comunicazione.

Su InGenere Cinema parliamo raramente di teatro e probabilmente questa è la prima volta che fra le pagine virtuali della nostra Gazzetta del Fantastico vi presentiamo un testo teatrale, ma non potevamo voltarci dall’altra parte quando la Cue Press ha iniziato a pubblicare [questo di cui vi parliamo è un primo volume di una collana] i Quaderni di regia e Testi riveduti di Samuel Beckett, in questo caso quelli riguardanti il suo Aspettando Godot.

Si tratta di un’operazione preziosissima, di un’impresa: testi riveduti e quaderni arrivano per la prima volta in Italia, con la traduzione e l’adattamento di Luca Scarlini, partendo del testo inglese The Theatrical Notebooks of Samuel Beckett, curato da James Knowlson [maggiore biografo di Beckett] e Dougald McMillan.

La collana ha avuto già un secondo momento editoriale, con Finale di partita, e andrà avanti con L’ultimo nastro di Krapp e con i testi brevi ma si parte, appunto, con Godot, di cui Beckett ebbe modo di curare la regia – per la prima volta – a Berlino, nel 1975. La prima assoluta, parigina [senza la regia dell’autore, ma con quella di Roger Blin], era stata del ’53.

A oltre venti anni di distanza, quindi, Beckett si trova a poter rileggere e rivivere il suo testo più famoso con un’esperienza d’autore maturo e importante. A riguardare il suo scritto con lenti completamente differenti e occhi interessati non solo alla composizione grafica, ma anche alla traduzione delle parole in gesti, all’incarnarsi dei personaggi in attori. Cosa che farà nuovamente – e in lingua inglese – al San Quentin Drama Workshop di Londra nel 1984.

Inizia così un lungo processo che porterà ad una completa revisione [in alcuni casi radicale] del testo, che da quel momento conterrà uno scheletro rigido di riferimenti di messa in scena registici e studio sulla composizione, sui movimenti, sull’interpretazione dei personaggi.

Non vi parliamo di tutto quello che racchiude narrativamente Aspettando Godot, invitando chi ancora non si sia mai approcciato a questa lettura a provvedere immediatamente, in quanto nessuno [né prima, né dopo] è riuscito a raccontare l’immobilità e l’assenza [di voglia, di spirito, di comunicazione, di vita…] in modo così semplice e allo stesso tempo feroce; immediato ma profondo.

Un lavoro decisamente complesso, che trova specchio nel volume Cue Press che è altrettanto stratificato e pretende una fruizione attenta e impegnata: oltre 450 pagine che, dopo una serie di note introduttive e la prefazione storico-letteraria, propone la versione riveduta [lavorata durante la prima messa in scena da regista] del testo di Beckett con una serie di segni tipografici ad evidenziarne aggiunte, tagli e revisioni rispetto alla versione originale.

Quello proposto da Cue è innanzitutto – cosa assolutamente da non sottovalutare – un modo nuovo e molto interessante di approcciarsi all’Aspettando Godot, respirando un’aria per molti versi diversa da quella dell’edizione Einaudi che, finora, aveva proposto in Italia unicamente la traduzione anni ‘60 curata da Carlo Fruttero.

Ma nel volume c’è tanto di più: il testo beckettiano viene seguito da una corposa appendice di note, che esplicano nel dettaglio quanto inserito fra parentesi e grassetti nel testo di nuova traduzione, contestualizzando ogni modifica all’originale nell’ambito delle aggiunte e delle revisioni.

Il fiore all’occhiello dell’edizione Cue Press, poi, è di certo la riproduzione fotografica del quaderno di regia [il famoso ‘quaderno rosso’, per il colore della copertina, riprodotta anche su quella del volume di cui stiamo parlando] scritto da Samuel Beckett durante la lavorazione per la produzione tedesca del suo spettacolo, allo Schiller Theater. Un modo davvero unico e diretto per agganciarsi ad una delle menti più brillanti della letteratura e del teatro novecentesco, provando ad assaporarne e immaginarne anche spiragli di personalità, attraverso la grafia degli appunti, l’ossessivo studio per gli schemi dei movimenti delle presenze in scena, gli schemi e i disegni elementari, ma anche le cancellature [talvolta davvero grafiche e ingombranti]. Il tutto è poi ripreso e reso editorialmente più leggibile per darci il modo di essere quasi testimoni a posteriori di prove e tentativi; del formarsi di un regista nel corpo di un meraviglioso pensatore e scrittore. Si viaggia tra il letterario e l’artigianalità, tra l’elucubrazione più raffinata e la soluzione pratica, ma soprattutto si sente il battito che ancora oggi si nasconde all’interno di un testo che racconta lo smarrimento, la perdita, la solitudine, l’incomunicabilità, la bassezza, la convenienza bieca, ma anche l’aspirazione irraggiungibile, la fede cieca, l’attesa di qualcosa che possa in qualche modo scardinare una vita andata a male.

Un viaggio unico, che oggi possiamo fare proprio grazie alla corposa edizione Cue Press, in cui prende corpo proprio la meraviglia del teatro [non solo di Beckett]: la vita scenica che ha pieno possesso del pensiero su carta e a volte ne stravolge convinzioni preventive. Di certo ne modifica parte del DNA.

Un libro di Storia del Teatro, da studiare e ristudiare, per arrivare ad un’assimilazione davvero profonda.

Probabilmente troppo impegnativo per un primo approccio alla drammaturgia delle drammaturgie, ma un testo davvero imprescindibile per chi ama il teatro, la scrittura tutta, il linguaggio, la comunicazione. E Beckett.

«Andiamo.»

«No.»

«Perché?»

«Aspettiamo […]»