Recensione di «La fine del mondo: una vita in serie», di Alfredo Sgroi (Mangialibri.com)

Alfredo Sgroi, «Mangialibri.com», 20 febbraio 2023

La sfilata dell’ordinaria follia comincia. In un ambiente asettico, cioè un anonimo ufficio, si consuma il dramma a distanza di un’anziana costretta da familiari cinici a lasciare la sua abitazione… Ancora più violenta è la vita di un mostro che si cela sotto i panni di un placido pensionato precoce. Costui confessa con sconcertante distacco una catena di atroci delitti. Pura espressione di una brutalità senza senso. Di una follia che esplode tra le calli veneziane, declinando verso la perversione sessuale, all’interno di una sfera familiare in cui il mostro si acquatta, pronto a colpire a tradimento. Perché è all’interno della famiglia che esplodono i drammi più dilanianti… Così è in un monologo in cui è riformulata l’immagine di un figlio giunto al capolinea di un’esistenza sordida da voyeur, incagliata tra l’edipica ostilità nei confronti del Padre e la rancorosa relazione con gli altri familiari… E così è per un tarato scrittore frustrato e vagamente omosessuale, inferocito con la sorella lesbica e coinvolto in una devastante crisi coniugale che si incrocia con il fallimento professionale. Come ossessionato è Lorenzo, genero di Shylock. O il lupo che, in un’atmosfera surreale, racconta a suo modo la vera storia di Cappuccetto rosso, dilaniata da un branco di lupi. Dal surreale si passa al virtuale - ma è un virtuale tristemente ancorato alla peggiore realtà – e poi a un insieme di schegge diaristiche…

L’apocalissi è già tra noi. Perché le perversioni, le mostruosità, le più sboccate crudeltà dilagano in un mondo segnato dalla cieca violenza e dalla brutale legge della sopraffazione. Questo è ciò che rappresenta con sguardo lucido Paolo Puppa. Per portarlo sulla scena, concepita come il luogo in cui precipitano e rapprendono fantasticamente i distillati di un’umanità sempre inquieta, mai capace di coltivare autentici sentimenti positivi, incancrenita da un contesto sociale e culturale in cui l’ossessione diventa la norma. Perché, anche quando il drammaturgo procede alla deformazione violenta, talvolta indugiando con calcolata strategia su particolari truculenti, si ha la molesta sensazione di restare comunque ancorati a situazioni quotidiane. Nel senso che in un quotidiano illividito dalle mostruosità, dai violenti conflitti alimentati dalle pulsioni primordiali che nessuna patina cosiddetta civile può occultare, l’eccesso, il gesto estremo, il rancore distruttivo diventano la norma. Atrocemente. Puppa scava insomma negli abissi dell’inferno mondano per portare a galla, e alla ribalta, il male che sedimenta nell’animo umano. E lo fa senza mai indugiare su facili sentimentalismi. Senza infingimenti edulcoranti. Al contrario, con la lucidità del chirurgo che affonda il bisturi là dove è necessario, per smascherare inganni, imposture o gratuite malvagità. In nome di un amaro realismo che impone di rappresentare il mondo nella sua crudezza.