Strindberg femminista? Beh, non la pensava certo come Ibsen. Il rapporto tra i sessi? La via più facile per l’inferno
Andrea Bisicchia, «Lo Spettacoliere».
Nel 1986, Franco Perrelli, uno dei più accreditati studiosi di Strindberg, oltre che traduttore, pubblicò, per l’editore Olschki di Firenze: Sul dramma moderno e il teatro moderno, dove figuravano alcuni saggi dell’autore svedese: Omicidio psichico, Prefazione alla Signorina Giulia, Sul dramma moderno e il teatro moderno che dava il titolo al volume citato, il Memorandum del regista per i membri del Teatro Intimo, e, in Appendice, Osservazioni sull’arte dell’attore.
Quel volume è introvabile, quindi ha fatto bene Mattia Visani a pubblicarlo, per Cue Press, con un nuovo titolo: Scritti sul teatro, che raccoglie, oltre i saggi citati, altri che riguardano testi di Shakespeare e di Goethe, autori che scelse come modelli della sua drammaturgia.
Perrelli fa precedere i testi dei saggi con delle sue introduzioni alla lettura, che suddivide per annate, alle quali fa corrispondere i momenti più innovativi della produzione strindberghiana.
Si va dagli anni 1869 al 1912, durante i quali, assistiamo alle difficoltà degli inizi, alla necessità di trovare un teatro per mettere in scena i suoi testi e per potere anche sperimentare una sua idea di teatro e di recitazione che andasse contro le normative dei teatri di Stato, tipici osservanti della tradizione e delle convenzioni, a vantaggio di un teatro concepito come dibattito di idee, con temi che attenessero al concetto di libertà o a quello riguardante il femminismo, allora agli inizi, che lo vide mettersi in contrapposizione a Ibsen, difensore della libertà delle donne, idea per nulla sposata da Strindberg che vide, nel rapporto tra i sessi, tema costante del suo teatro, la via più semplice per accedere all’Inferno.
Nei saggi, egli si scontra con il Naturalismo, al cui teatro fisiologico contrappone quello psicologico, tanto da inscenare omicidi o suicidi psichici, a dire il vero, già presenti in Rosmersholm di Ibsen, da lui stesso accertati, ma sottoposti a una specie di analisi clinica. Nel suo teatro c’è poco spazio per i sentimenti che riteneva superflui, così come riteneva inutili i ‘caratteri’, essendo l’animo umano alquanto complesso, la cui psiche era difficile da decifrare.
Il cammino che lo portò alla nascita del Teatro Intimo, dove, in tre anni, realizzò 24 allestimenti per 1147 rappresentazioni, passò attraverso l’esperienza negativa del Teatro sperimentale scandinavo che ebbe vita breve per mancanza di mezzi economici e per una modesta organizzazione. Egli sognava uno spazio simile a quello del Theatre Libre di Antoine, del Theatre de l’Oeuvre di Lugne Poe, della Freie Buhne di Otto Brahm, dello Hebbel Theatre di Berlino, mentre teneva come punto di riferimento, per la regia, Max Reinhardt, che aveva messo in scena La signorina Giulia, Il legame e Delitto e delitto. Quando, finalmente potrà dar vita al Teatro Intimo, con 160 posti e un palcoscenico 6×4, nel Memorandum ne espose le idee guida: niente intrighi né sviluppi sentimentali, ricerca di una realtà interiore, abbandono di ogni virtuosismo, niente scene parapettate, sostituite da proiezioni, anticipazione delle ‘lanterne magiche’. Preferenze per testi brevi, magari di un quarto d’ora, sulla linea del Futurismo, che portassero in scena conflitti d’anime, da recitare con naturalezza, senza enfasi, con attenzione alla parte, per il pubblico e non contro il pubblico. Insomma, un teatro da camera, ricondotto all’essenza del testo e dell’attore.