«Teatro» di Laura Wade, recensione di Massimo Bertoldi (Il Cristallo On Line)
Massimo Bertoldi, «Il Cristallo On Line», 8 luglio 2022
Laura Wade, commediografa sconosciuta in Italia, riproduce fedelmente il modello del new writer: svolti gli studi universitari a Bristol, matura importanti esperienze formative nella cerchia dei giovani drammaturghi nella fucina del londinese Royal Court Theatre, debuttando quasi ventenne con Limbo nel 1996. Alla proficua collaborazione con la BBC Radio, segue al Royal Court Upstairs la trionfale messinscena di Posh, sua quattordicesima commedia dalla quale Lone Scherfig ha tratto nel 2014 il film The Riot Club.
Un prelibato assaggio della scrittura della pluripremiata Wade è offerto dagli inediti Più freddo che qui e Cadaveri che respirano, due piccoli gioielli del teatro anglosassone allestiti nel 2005 e ora raccolti nel Teatro pubblicato da Cue Press per la traduzione e la cura di Valentina Vetri. I due testi, dotati di scrittura asciutta ma stilisticamente assai diversi tra loro, condividono il tema della morte declinato da prospettive narrative opposte, tantoché i corrispettivi personaggi vivono situazioni antitetiche.
Nel sorprendente Più freddo che qui è centrale la figura di Myra, da tempo malata di cancro e consapevole di avere i giorni contati. Perciò si impegna a coinvolgere le due figlie e il marito a deviare dalla prassi canonica – il funerale, il rito e il cimitero classico – a favore di un funerale green: la sua ultima volontà è, infatti, una sepoltura in un prato tra gli alberi e i fiori, con il suo corpo adagiato in una bara assemblata artigianalmente, decorata da disegni e sistemata nel salotto di casa.
Lungo le nove scene del dramma si sviluppa con ironia e tenerezza un processo di ricomposizione di questa famiglia della media borghesia britannica composta da anime solitarie, che progressivamente imparano ad ascoltarsi e a guardarsi negli occhi. Si considerano e si riconoscono. I dialoghi sono allusivi, costruiti su frasi non dette e sospese che prima manifestano timore e formalità poi, per effetto delle profonde trasformazioni interiori dei personaggi, diventano espliciti in materia di morte e di dolore, in quanto padroneggiati con consapevole serenità.
L’assunto narrativo di Cadaveri che respirano è completamente diverso. Si tratta di una sorta di thriller animato da tre personaggi uniti dal comune ritrovamento, del tutto occasionale, di un cadavere: Amy, cameriera di albergo, rinviene un morto suicida in una stanza che si appresta a pulire; Jim, proprietario di un magazzino, scopre il cadavere in una cella affittata ai clienti; all’imprenditrice Kate succede, invece, portando a spasso il cane.
Memore della lezione di Sarah Kane e Mark Ravenhill, il linguaggio della commedia esprime violenza trasferita in un sistema di battute aspre e asciutte, taglienti come lame. I dialoghi risultano segnati da continue interruzioni, gli interlocutori non si ascoltano, sembrano parlare a se stessi. Anche se nei tre personaggi la scoperta dei cadaveri avrà ripercussioni significative sulle loro vite, rimane in loro radicata e inalterata la condizione di solitudine e di infelicità. «I cadaveri – spiega la Vetri nell’Introduzione – non sono altro che le immagini riflesse dei personaggi vivi, uno specchio terribile di che cosa è l’uomo davanti alla disperazione».
Così Più freddo di qui e Cadaveri che respirano possono essere letti come il rovescio della medaglia dello stesso oggetto-morte che diventa, nel primo testo, tramite per riscoprire e rigenerare una dimensione umana di sana e poetica leggerezza di fronte all’evento funebre il quale, nella seconda commedia, determina invece la cementificazione di una condizione di autoreferenzialità connessa ai personaggi, soprattutto priva di via d’uscita.