Titina de Filippo, artefice magica della scena italiana
Simone Sormani, «Proscenio Bimestrale», Aprile-Maggio 2022
Attrice, poetessa, drammaturga, pittrice, Titina De Filippo è stata spesso trascurata dalla critica contemporanea e schiacciata dal ricordo dei suoi due grandissimi fratelli, Eduardo e Peppino. Complice anche una carriera interrotta prematuramente e prima dell’inizio dell’era dei media televisivi, e la conseguente scarsità di materiale audiovisivo che potesse testimoniarne la potenza delle interpretazioni teatrali.
Il recente volume Titina De Filippo. L’artefice magica (Cue Press, pp.223, € 34,99 cartaceo, € 9,99 eBook) di Simona Scattina docente di Discipline dello spettacolo dell’Università di Catania – costituisce perciò un importante contributo, volto a ricollocarla tra le più significative figure dell’arte del Novecento italiano. Prezioso per l’autrice è stato il riferimento alle fonti raccolte e curate dal figlio di Titina, Augusto Carloni, quali il Fondo Carloni – custodito presso la Biblioteca di Storia Patria di Napoli – e la biografia Titina De Filippo. Vita di una donna di teatro, nonché lo studio di Anna Rita Abbate Titina non solo Filumena, insieme ad articoli e recensioni giornalistiche dell’epoca, tra cui quelle a firma di Bontempelli, Campanile, D’Amico, Moravia e Simoni.
Due gli aspetti fondamentali della sua personalità poliedrica affrontati nel saggio. In primo luogo, il percorso volto a ridefinire la presenza della donna nel teatro moderno. In un’epoca ancora dominata dall’icona della diva dannunziana Titina, “paffutella e minuta”, si mosse nel solco del protagonismo femminile segnato dalle predecessore, ma presentandosi come “antidiva”, e passando da piccoli parti en travesti nella compagnia del padre Eduardo Scarpetta alla rivista, dalla sceneggiata al teatro umoristico, fino ad impersonare figure capaci di esaltare il lato più vero della femminilità, come in Napoli milionaria! e Filumena Marturano. Sciantosa, figlia, moglie, madre: in ogni interpretazione di “altre” metteva un po’ di sé, della sua umanità e della sua vita difficile, raccontandosi ed entrando in una “quasi confidenziale intimità con le sue personagge”.
L’altro aspetto è il ruolo che svolse all’interno del trio De Filippo, che non fu solo quello di meravigliosa interprete dei testi scritti dai fratelli, ma anche di parte attiva nella formazione di un repertorio, a cui partecipò con alcuni importanti contributi drammaturgici. La scrittura fu per Titina un ulteriore momento di ricerca di una propria autonomia scenica, «con opere pensate e calibrate sulle sue qualità attoriali in un processo che voleva essere allo stesso tempo di affermazione, di identificazione e di sconfinamento dello spazio che il suo physique du rôle le aveva riservato».
Ma raccontare Titina vuol dire attraversare anche poesie, collage – le sue creazioni furono molto apprezzate da Jean Cocteau, che le definì “proiezioni autobiografiche” – e soprattutto il cinema. Fu proprio al cinema che – come lei stessa ebbe a dire – osservò per la prima volta se stessa, vide la sua anima come in uno specchio e mise alla prova la sua duttilità con il più moderno dei mezzi, lasciando in questo caso testimonianze ancora fruibili – dalla commedia al neorealismo – della sua grandezza.
Il volume si conclude con un’inedita e interessante galleria di immagini, realizzazioni artistiche, lettere e biglietti autografi, pagine di giornali. Frammenti di una divagrafia involontaria di un’antidiva per eccellenza, di un’artefice magica della scena italiana.