Totò e Vicé di Franco Scaldati

Paolo Randazzo, «Dramma».

Quando l’anno scorso, il 13 giugno 2013, Franco Scaldati è venuto a mancare, fatta la tara all’ipocrisia di chi, dopo averlo lasciato una vita senza un teatro, voleva magari dedicargli una strada o una piazzetta a Palermo, tutti coloro che gli sono stati vicino negli anni e hanno amato la sua arte si sono chiesti invece se e come il suo teatro avrebbe mai potuto continuare a vivere.

Pensando al teatro di Scaldati infatti è davvero difficile, se non proprio impossibile, separare dai testi l’emozione della scena, la ruvida profondità della sua voce, i silenzi abissali, il ritmo metafisico e straniante della sua regia: come poter far vivere tutto questo senza più l’autore a dargli anima? Come rendere possibile la fruizione del suo teatro trovandosi separate testualità e autenticità della perfomance? Come evitare che venga tradita la poesia di questi testi?

È da inquadrarsi in questa prospettiva problematica il libro Totò e Vicé curato dalla critica ennese Filippa Ilardo che è stato presentato per la prima volta in Sicilia, domenica 28 settembre, a Messina, nel contesto del SabirFest. Si tratta di un libro in formato digitale edito dalla casa editrice emiliana Cue Press che propone quella che una volta si sarebbe detta l’edizione critica di un testo d’autore, nel caso specifico di Totò e Vicé di Scaldati. Un testo portato in scena per la prima volta nel 1993 a Gibellina, poi nel 1995 al Biondo di Palermo e infine nel 2011, con uno strepitoso successo di critica e pubblico, da Vetrano e Randisi.

Da sottolineare l’interessante lavoro di questa giovane casa editrice che sta cercando di ripubblicare in formato digitale numerosi classici del teatro (italiano e straniero) novecentesco: testi preziosi, intorno ai quali la riflessione critica e l’operatività artistica sono tutt’altro che esaurite, ma che sono ormai introvabili nelle librerie. Oltre al testo di Scaldati, il libro contiene un approfondimento critico della stessa Ilardo, due interviste a storici collaboratori del drammaturgo palermitano (gli attori Gaspare Cucinella e Melino Imparato) e ancora un intervento di Dario Tomasello.

«Nella drammaturgia di Scaldati le parole sono geroglifici – spiega la curatrice – , intrecciano l’elemento fonico-acustico con quello plastico-visivo, il piano della scrittura con quello della rappresentazione, ma, soprattutto, instaurano un legame profondo con la terra e con i luoghi. È da questo contatto col sottosuolo che nasce il dialetto, assorto, cadenzato, lirico, ma anche terragno, arso, viscerale di Scaldati».